CHI PUO’ PARLARE SUL DISSECCAMENTO DEGLI ULIVI? In democrazia, come si suol dire, chiunque abbia una idea, un parere, una opinione, o anche un semplice sfogo da esprimere, dovrebbe essere libero di farlo. Vieppiù se il soggetto che condivide il suo pensiero ha qualche competenza o esperienza pratica più o meno correlata con i fenomeni coinvolti, che potremmo definire a largo raggio “bio-geo-chimica”. E vieppiù se il suo contributo aggiunge tessere di conoscenza, o consapevolezza, nel panorama decisamente intricato del fenomeno del CoDIRO, appunto complesso del disseccamento rapido dell’ulivo, come fu correttamente definito, e dell’ancora più intricata “operazione xylella“.
Ma a quanto pare questa banalissima norma di buon senso, prima che di democrazia e pluralità del pensiero, secondo alcuni, media inclusi, non è applicabile al caso in esame. Anzi, pare che, maggiore sia la competenza adeguata al caso e più elevato il credito scientifico maturato secondo le regole del sistema ufficiale di validazione, meno sia il diritto e il titolo a esprimersi.
A parlare, dire la loro, tranciare pareri e sputare soluzioni, pare debbano essere solo e soltanto alcuni soggetti, in nome della SCIENZA! Peccato che non si riesca bene a capire quali siano gli emissari di questa scienza in base alle qualifiche e alle competenze, a causa di una nebulosa di veti incrociati che, come vedremo, in teoria non consentirebbe a nessuna figura di esprimersi. Una sorta di “zitto tu che non capisci niente” pronto a scattare automaticamente all’indirizzo di chiunque dica qualche cosa, basta che sia appena appena difforme da un mantra ben definito. E la cosa buffa è che le censure scattano anche nei confronti di alcuni degli stessi soggetti che hanno costruito il mantra, se gli scappa una parolina di meno o di troppo.
Così, un titolato genetista botanico, già direttore di un istituto CNR, che rileva le cause ambientali e colturali dei disseccamenti e mostra le cure efficaci, diventa uno che “spara cazzate”, perché non è un fitopatologo; un’esperta fitopatologa, va zittita perché è “negazionista”, quando mostra la prevalenza di patologie fungine; un batteriologo vegetale di fama mondiale, diventa uno sciamano o stregone quando pubblica le prove scientifiche dell’efficacia di pratiche di contrasto al disseccamento; un architetto del paesaggio che lavora per un Ministero, merita la gogna per aver rilevato i rinverdimenti anche spontanei di alberi dati per morti, perché non è un’agronoma; addirittura un ex direttore generale dell’ARIF, che di ulivi ne ha fatti abbattere a migliaia, perde immediatamente credito quando pubblica, con lo sciamano di prima, l’evidenza della non rilevante pericolosità di Xylella, il presunto batterio killer; altri ricercatori del CNR, che con immagini satellitari o ortofoto, mostrano fenomeni di disseccamento contigui a campi verdissimi, dimostrando l’incidenza di diverse pratiche agricole, vengono zittiti brutalmente, anche da dirigenti dell’Ente; addirittura gli ufficiali di Polizia Giudiziaria, che hanno scoperto e messo nero su bianco “l’operazione Xylella” che l’anima, con nomi e cognomi, avrebbero scritto – secondo alcuni media – cose “fantasiose” e “allucinanti”. Per non parlare, poi, di tutti quegli agricoltori che, mollata la presa che avevano al collo dall’orda delle eradicazioni, spostatasi più efficacemente a nord, con la santa pazienza della saggezza contadina hanno riportato a produrre gli alberi “infetti”: non devono illudersi; secondo l’ortodossia è un fenomeno temporaneo, destinato a cedere presto a nuovi disseccamenti. Da quale scienza possa venire quest’ultima tesi, resta un vero mistero.
Allora, chi avrebbe titolo a parlare, secondo l’ortodossia? Beh, chiunque non metta in dubbio la pericolosità di Xylella, o, se proprio lo deve, non discuta sulla necessità di abbattere ulivi su aree quanto campi sportivi ad ogni minima rilevazione di questo batterio. Non ha importanza a che titolo essi parlino; basta, per esempio, adocchiare un apice ingiallito di un albero da un’auto in corsa sull’autostrada, per sentenziare che è sicuramente effetto di Xylella, quindi interessare con gli stermini nuove aree produttive di olio di qualità.
Quindi, può parlare solo chi sposa la tesi che per salvare gli ulivi pugliesi, bisogna prima eradicarli tutti a tappeto, per vendere il legname alle centrali a biomassa, riconvertire terreni all’agrovoltaico o ripiantare varietà brevettate già pronte in alcuni vivai, se proprio si vuole. E per salvare qualche patriarca monumentale, si azzeri la sua chioma e si innestino germogli di quelle varietà brevettate o già pronte, anche usando il trapano per impiantarle se necessario. Pura scienza!
Insomma, per poter parlare e dettare le strategie, non importa nessun titolo. Basta essere uno di quel gruppo di sterminatori, con o senza laurea o qualifica; gli stessi che compaiono in quell’elenco indicato dai “fantasiosi e allucinanti” (come definiti da alcuni media) Ufficiali della Polizia Giudiziaria della Procura di Bari che hanno accertato “il disegno criminoso” e “il raggiro operato a danno della popolazione pugliese”.
